“Don’t forget us” è la frase-simbolo di una nazione: lo Sri Lanka. A pronunciarla è stata la moglie di Anura, il driver che ci ha accompagnati lungo le coste e l’entroterra della lacrima dell’India, chiamata così per la sua forma e posizione.
Don’t forget us: una frase che mi ha colpita nel profondo, desueta e fuori tempo massimo com’è. Oggigiorno è difficile dirla e sentirsela dire. Oppure la si dice con una forza se possibile maggiore, proprio perché tutto si ingoia e tutto si espelle nel giro di pochi giorni, forse ore.
Il web, la tv, i rapporti usa e getta, Instagram. Le mode passeggere, le immagini, i viaggi bulimici, talvolta fatti più per essere condivisi, “socializzati”, che vissuti.
Viaggio in Sri Lanka: non dimentichiamoli
“Non dimenticateci” – ci ha detto. E io ho tremato nelle fondamenta.
La vita, in Occidente, pare un treno uscito dai binari, incapace di rimanere saldamente ancorato a qualcosa, pur muovendosi. E lei mi chiede di non dimenticare delle persone con cui ho avuto a che fare per sole due settimane? Incredibile, quasi pretenzioso nel 2019.
Dimentichiamo esperienze, libri, film, persone, viaggi. Le nostre vite ne sono piene, cose e persone traboccano e si riversano per strada, trattenendo solo qualche rimasuglio, e una srilankese pretende che noi ci ricordiamo di loro, una volta a Roma! Assurdo…
Devo programmare il mio prossimo viaggio in California, ricominciare a lavorare, progettare la mia vita (corso di yoga, impegni da social media manager, weekend da inanellare). Mi chiedo come farò a non dimenticarmi di uno dei miei tanti viaggi, di quattro dei molti volti che incontro ogni giorno. Splendido un viaggio in Sri Lanka, ma sono stata anche in Turchia, Egitto e Tunisia, giusto? E poi negli USA, in Australia e in Qatar. Come faccio a trattenere tutto?
Queste domande affollano la mia mente durante il volo di ritorno a Roma, mentre saluto lo Sri Lanka, che sparisce all’orizzonte subito dopo il decollo. Quasi a farsi dimenticare, appunto. Eppure ho mal di pancia. Le lacrime colate all’improvviso sul mio volto, all’aeroporto di Colombo, si sono rapprese da poco.
Allora bando ai cosa fare, ai cosa vedere in Sri Lanka. Il mio primo post sull’isola delle farfalle (ancora la sua forma: non sembra un’ala?) lo dedico alla memoria, a ciò che vi si è impresso, alle sensazioni che non hanno bisogno di tatuaggi, segni tangibili della nostra volontà di marchiare a fuoco sulla pelle, terrorizzati come siamo dall’impermanenza.
Viaggio in Sri Lanka: memorie sparse
I tuk-tuk che sfrecciano tra le strade di Colombo come mosche impazzite. Gli autisti che quasi ti aggrediscono: vogliono fare soldi, scarrozzarti da un posto all’altro della città, stupendosi che tu voglia camminare con tutto questo caldo.
Ce ne sono una miriade, di tuk-tuk: sono rossi, verdi o blu. Alcuni con la targa dei taxi, altri senza.
Colombo è il caos, ma un caos ordinato, quasi a prova di incidente. L’impressione che se ne ha è di un luogo in cui non c’è bisogno di regole: il traffico è fluido e c’è un codice stradale non scritto, fatto di pazze eppure rispettose strombazzate.
Di là da tutto questo l’oceano, le cui onde si infrangono sulle sponde del Galle Face Green, il lungomare.
Aquiloni, baracchini che si moltiplicano con il passare delle ore, vento e sari colorati, en pendant con il verso rumoroso degli scoiattoli locali, che scambio con quello di qualche uccello esotico.
Viaggio in Sri Lanka: le emozioni
Il viaggio in Sri Lanka mi fa quasi paura, all’inizio. La spiritualità che sprigionano i molti templi buddisti e indù convive con la sporcizia di mercati come Pettah, sotto una cappa in cui tutto si compra e si vende. Cani randagi e rognosi, corvi a non finire e un parco – Viharamahadevi – in cui trovo improvvisamente la pace, ammaliata dalle chiome che si piegano al vento.
Buddha ovunque e luci calde, come non vanno più di moda da parecchio qui da noi, sostituite prima dai neon e poi dai led, a rendere asettico persino il Natale.
I baracchini si susseguono lungo le strade che collegano un luogo all’altro. Spesso costruiti dai proprietari con qualche asse di legno e delle foglie di palma. Eppure reggono. Vi si vende principalmente frutta: ananas, papaya, piccole angurie, king coconut (i cocchi arancioni di cui bere il nettare sulla spiaggia); ma anche guava e frutti mai visti, per me senza nome.
I tramonti, la socialità. La vita che si srotola durante il giorno, quietandosi prematuramente (nell’opinione degli italiani): in Sri Lanka non si fa vita notturna. I locali ci sono ma è sotto la luce che si vive. La sera è fatta per dormire.
Le rovine di un colonialismo a più mani si trovano ovunque: a Colombo come a Galle, a Trincomalee e nella giungla, rispecchiate da un’architettura domestica elegante, vecchio stile: le colonne a creare verande dalle quali accedere scalzi in quelli che alla fine sono templi familiari.
Il sapore del rice and curry si mescola a quello dolce del lassi, bevanda indiana sdoganata soprattutto a nord dello Sri Lanka.
Viaggio in Sri Lanka: questione di fusione
Le palme, il monsone, le religioni che si fondono. Il verde delle piantagioni di tè, l’alternarsi di sole e pioggia, i picchi tutti da scalare. Come il Little Adam’s Peak e la rocca di Sigirya. I volti dei bambini, così diversi dai “nostrani”: gli occhi neri e tranquilli, i movimenti quieti nonostante l’età in cui – amiamo dire – tutto è concesso.
Treni che sferragliano su rotaie su cui camminano persone e mucche. Scimmie che mangiano frutta e rimasugli vari, tra cui i dolciumi dei turisti ingenui. Il cricket, retaggio inglese. E il croquet. Gli occidentali che si sporgono come folli dai vagoni che portano da Ella a Kandy, sperando in scatti memorabili da postare sui social. Gli srilankesi, nel frattempo, sgranocchiano i loro spuntini.
E gli elefanti, quelli bardati per le feste religiose e quelli selvaggi, che sbucano da un momento all’altro in mezzo alla strada, mettendo involontariamente in pericolo le vite dei motociclisti, che si guardano dalle loro reattive proboscidi. Umani e animali, cultura e natura fusi in un unico insieme.
Varani, fiori di loto e monumenti per visitare i quali solo i viaggiatori hanno il dovere di pagare. Panorami che ti aiutano a perdonare ingiustizie come questa e monaci le cui vesti svolazzanti fanno sorridere. Le persone ti fermano per scattare una foto insieme e le vecchiette ti spingono a pregare se ti avvicini al loro nutrito gruppetto di fronte a una stupa.
Un viaggio in Sri Lanka è un vortice nel quale cadere
Candele e incensi, preghiere continue che risuonano nell’aria e rospi che non si lasciano scacciare dalla tua stanza. Le rovine di antiche civiltà, quelle in cui il destino umano veniva scritto su foglie di palma poi rilegate in forma di libri. La serendipità, che il nome originario dello Sri Lanka evoca: Serendib, così la chiamavano gli arabi.
L’Oceano Indiano, il punto in cui si scatenò lo tsunami e dove tuffarsi, oggi, anche al crepuscolo, caldo e trasparente com’è. Ristorantini e guesthouse con i ventilatori al posto dell’aria condizionata e cimiteri che sorgono sulla spiaggia. La medicina ayurvedica, i profumi balsamici e le altalene attaccate alle palme.
Shiva e Ganesha, gli squali della barriera corallina e Parvati, i pescatori che a bordo di barche coloratissime vanno e vengono, lasciando spesso rifiuti di ogni tipo sulla spiaggia.
I suoni della natura diurni e quelli notturni, la paura di animaletti indesiderati e di disturbi gastrointestinali, i volti di Negombo, che paiono più torvi di quelli visti fino a quel momento.
I canali costruiti dagli olandesi e la spiaggia vissuta come luogo di ritrovo, grande salotto in cui non esibire corpi nudi ma coperti. Per pudore, non per precetti religiosi.
Ché gli srilankesi sono pudici, appunto, e mica si danno gli asettici due bacini quando si salutano. Eppure le emozioni traspaiono forti dietro alle loro ritualità. Gli occhi lucidi di Anura, il “don’t forget us” di sua moglie e la curiosità dei due bambini che ci osservano, non rapiti da alcuno schermo.
Un viaggio in Sri Lanka per cambiare idea
E pensare che, all’inizio, l’instabilità del meteo mi infastidiva. Temevo che piovesse ma poi osservavo uomini, donne e bambini camminare scalzi nel fango, non perché non avessero le scarpe ma per fare prima.
Io che dribblavo blatte e ne temevo la comparsa, ho quasi imparato a starci in mezzo. Se solo avessi avuto più tempo…
Temevo le onde improvvise e verso la fine ho imparato a tuffarmi sotto la loro cresta.
Spaventata dagli squali, ne ho avvistato uno gestendo la paura.
Il sole sulla pelle, il turbine di emozioni che affiorano tutte insieme verso la fine. La mescolanza, la vita che si mostra nella sua essenza, dimentica di scrivanie e pc, di persone arrabbiate sui mezzi e di nevrosi infantili.
Che in Sri Lanka siano perfetti? Che non esistano problemi? Che stiano meglio di “noi”? La risposta è no, ma queste due settimane hanno avuto il sapore di un nettare non sconosciuto bensì dimenticato.
La mia pelle arrossata dal sole e la loro pelle già scura. I miei piedi delicati, infastiditi dai sassolini; e i loro piedi, che parevano di gomma su quei terreni accidentati.
Il vociare dei turisti e le teste degli srilankesi che si muovevano delicatamente da destra a sinistra, da sinistra a destra quando dicevano loro di sì. Le schiene curve dei “bianchi” e quelle inspiegabilmente dritte sotto ai sari colorati.
Tutto questo e molto altro è stato per me il viaggio in Sri Lanka, un’emozione da cogliere e fermare il prima possibile, dannazione, prima che la vita “vera” mi riacchiappi con le sue grinfie. Prima che il turismo si riversi avido in quest’ala delicata di mondo, dimentico degli attacchi terroristici che per ora – solo per ora – lo stanno tenendo lontano.
*Questo articolo è stato condiviso anche sulla pagina Facebook dedicata al grande scrittore Tiziano Terzani.
2 risposte
Di “cosa vedere a…” ne trovi ovunque, queste emozioni così genuine sono rare e uniche. Noi siamo tornati da poco da un mese in Vietnam e nel leggerti ho ritrovato tanti pensieri condivisi, che però nella mia testa sono ancora così vorticosi che mi sembra mi ci voglia tempo per capirli ed esprimerli. E invece eccoli qui tra le tue parole ☺
Grazie mille Veronica, il Vietnam è un Paese che mi piacerebbe molto visitare. L’Asia ti lascia davvero qualcosa in più e ora sono intenzionata a scoprirla tutta 🙂