Cosa fare e cosa vedere a Bangkok? Giuro che ve ne parlerò, ma questa volta non mi dedicherò subito allo sport preferito dei blogger: compilare liste, elargire consigli, stringere in un pugno il meglio di una città, di un paese, di un’isola.
Il mio, di sport, prevede quiete e una mente concentrata. Ecco perché voglio iniziare dal raccontarvi cos’ha significato, per me, l’impatto con Bangkok, con la doverosa premessa che il mio rimane pur sempre un punto di vista, limitato a un tempo e uno spazio troppo risicati per rendere doverosamente l’essenza di questa megalopoli.
Bangkok: la città degli estremi
Un’espressione oggi molto in voga, in riferimento a una città, è “ricca di contrasti”. Del resto, questa definizione può essere abbinata a qualunque luogo del mondo: difficile trovarne uno del tutto uniforme, privo di chiaroscuri, livellato. Bangkok, però, è la regina delle metropoli bipolari.
Ecco perché questa fantasmagorica città richiede pelo sullo stomaco, rispetto e capacità di coglierne le sfumature.
I quartieri popolari
Partiamo da un presupposto: non è detto che Bangkok piaccia subito. A me è capitato così: me ne sono innamorata man mano che passavano i giorni. Sarà che il primo impatto è stato con Chinatown, quartiere indubbiamente turistico e folcloristico, ma non per questo privo di autenticità.
Camminando tra i banchetti dello street food e i negozi traboccanti cianfrusaglie di ogni genere, sono stata colpita da odori troppo forti per le mie narici, alimenti dall’aspetto viscido e misterioso, volti contriti, elemosinanti ai margini delle strade.
Sia chiaro: è una vita che viaggio e non è certo la prima volta che metto piede su un suolo tanto diverso da quello italico, ma questo non significa aver messo da parte la sensibilità una volta per tutte. Mi rivolgo specialmente a coloro che dicono che ci sono Paesi molto più poveri: qui non c’è nessuna gara in atto. Certe condizioni dovrebbero colpire a prescindere, senza aspettare condizioni estreme.
Chiaramente anche a Roma ci sono poveri, disperati ed eccentrici personaggi che popolano strade e vie secondarie. Anche la nostra capitale ha Tor Bella Monaca da una parte e i Parioli dall’altra. A Bangkok, però, è tutto ingigantito, un po’ come se qualcuno ti togliesse a forza il velo dagli occhi e ti dicesse: “La vita è anche questa, che ti piaccia o no”.
I quartieri futuristici
Il repentino passaggio da una zona popolare come Chinatown a quartieri a dir poco futuristici come la Siam Area non può lasciare indifferenti. I grattacieli sfavillanti e l’atmosfera quasi asettica, a un primo impatto, sono troppo.
Per di più, mentre si è intenti a guardarsi intorno, ci si trova all’improvviso con il naso all’insù, a osservare lo Skytrain che attraversa la città da una soprelevata, come in una scena di Blade Runner.
Pensate all’effetto che tutto ciò ha avuto su di me: arrivo a Bangkok, passeggiata a Chinatown e cena nell’elegante centro commerciale Siam Paragon. Circondata da installazioni luminose, ho zigzagato in un vortice di colori, catturata dal magnifico aspetto di cibi provenienti da ogni dove. Un viaggio nel viaggio e tutto questo nel giro di poche ore.
Ammetto, insomma, di aver subito – pur nella brevità del mio soggiorno – un vero e proprio shock culturale, come onestamente non mi era mai capitato.
Chi mi legge da un po’ sa che viaggio da sempre, per cui ancora oggi mi chiedo cosa mi sia veramente successo. È come se qualcosa si fosse infiltrato nella mia anima, trovandola forse un po’ sonnolente, atrofizzata dalla routine e da quest’ultimo biennio. Lo spirito dei viaggiatori, in effetti, è stato fiaccato dalle limitazioni che si sono inserite nella nostra quotidianità.
A prescindere dal fermo di questi ultimi due anni, è facilissimo sentirsi dei provinciali da queste parti: ne ho viste di megalopoli, ma Bangkok mi ha fatto riconsiderare l’Italia da un altro punto di vista. Sono cresciuta pensando al mio Paese come a una delle potenze mondiali, ma basta svoltare l’angolo (in questo caso ben più di uno) per rendersi conto di quanto sia piccolo e indietro su una mare di cose. Bangkok, per esempio, è una città estremamente più pulita e organizzata di Roma.
Ferrovia cittadina e metropolitana
Partiamo dallo Skytrain – la ferrovia sopraelevata di cui ho parlato poc’anzi – e dalla metropolitana vera e propria: entrambe nuove, pulite e puntuali. Non solo: nonostante la capitale thai conti più di 10 milioni di abitanti, i passeggeri sono rispettosi come da nessun’altra parte. Esistono file già tracciate a terra, da cui nessuno si sogna di uscire.
A ogni fermata dello Skytrain e della metropolitana c’è del personale addetto, che aiuta a mantenere l’ordine e la sicurezza.
Niente biglietti cartacei usa e getta: il ticket di viaggio consiste in un gettone di plastica che viene riconsegnato all’uscita.
Scale mobili e ascensori ovunque.
Passando alle persone, il senso della pulizia e, in generale, del decoro è altissimo: difficile vedere uomini e donne trasandati e sporchi, cosa che non si può certo dire entrando nei nostri mezzi di trasporto.
Salta subito all’occhio un ordine militare, che per certi versi può lasciare interdetti: è quasi impossibile incrociare qualcuno senza mascherina ed è veramente raro imbattersi in schiamazzi e atteggiamenti fuori dalle righe. Il divertimento vero e proprio è confinato in determinate zone (come Khaosan Road, che a me non è piaciuta), ma la compostezza asiatica prevale su tutto.
Conclusioni su Bangkok
Il mio non vuole essere un elogio gratuito, ma una presa d’atto della diversità comportamentale che mi sono trovata ad affrontare e, in seguito, ad apprezzare: i tailandesi sono mediamente educati e gentili e sarebbe ipocrita non ammettere quanto questa delicatezza possa stupire noi italiani, abituati a modi più rudi ed estroversi.
Il regime “militaresco” uniformerà anche i modi, ma mi chiedo se la nostra sia davvero libertà: libertà di impestare gli edifici di inguardabili graffiti, di menarsi per strada, di violare le regole del traffico? In cosa consiste, da noi, questo importante valore?
Deviando dalle strade patinate di questa folle megalopoli e trovandomi faccia a faccia con persone ai margini e situazioni per noi al limite del sopportabile, mi sono anche chiesta cosa ne facciamo, noi, del classico benessere occidentale: in fin dei conti, abbiamo gli occhi perennemente puntati sul nostro ego e basta sedersi al bar per sentire discorsi un po’ tutti uguali.
Quando cammino per la mia città, mi capita frequentemente di carpire chiacchiere incentrate su di sé, su quanto gli altri siano cattivi e sull’insindacabile parere dello psicologo (a proprio favore). Mi dispiace, ma non sono riuscita a non riflettere su questo, soprattutto quel giorno che ho navigato lungo uno dei canali della città, quando ho visto baracche e stili di vita così lontani dal mio che, all’improvviso, tutto quest’ego ferito mi è sembrato di una gran superficialità.
Del resto, viaggiare serve anche a ridimensionare e a ridimensionarsi, no?