Stati Uniti: miseria e nobiltà

Viaggiare in maniera sincera: questa è l’unica modalità che conosco. Viviamo in un mondo in cui vige il politically correct e i viaggi rientrano appieno nella categoria di “cose” da non sporcare. Il pensiero positivo, male interpretato, porta spesso alla negazione della realtà. Sembra quasi che si debba essere tutti euforici e che sia fondamentale portarsi a casa un bagaglio di esperienze integralmente belle, luccicanti.

Amo viaggiare, così come amo gli Stati Uniti. Fusa completamente con l’idea di famiglia americana, di felicità americana, da piccola sognavo di andare a vivere nel Nuovo Mondo. Avete presente le villette alla Desperate Housewives? Ecco, la mia vita sarebbe dovuta diventare così: color pastello, accogliente, decorata per Halloween e Natale come nelle famiglie felici.

Intorno agli 11 anni sognai persino di mettere piede in America e di baciarne il suolo. Era questo il mio stato d’animo. Non vedevo l’ora di partire. Si trattava, per me, quasi di una chimera: ero convinta che, se fossi andata a vivere lì, la mia vita sarebbe stata perfetta.

I miei viaggi negli Stati Uniti: la prima volta

Stati Uniti: il porto di Baltimora di notte
Il porto di Baltimora

Stati Uniti: correva l’anno 1997

Poi il viaggio con la scuola: avevo 19 anni e partecipai a uno scambio culturale. Tre settimane negli Stati Uniti, a stretto contatto con professori e compagni di classe, ma anche con le mie pippe mentali post-adolescenziali. Ho “goduto a metà”, per riprendere lo slogan di una famosa pubblicità.

Feci questo viaggio tra le grandi città e la provincia, che mi portò a visitare Boston, Washington, New York; e ancora: Philadelphia e Baltimora. Guardavo tutto con gli occhi un po’ appannati: non mi trovavo benissimo con gli altri ed ero presa da una storia poco felice. Non ero del tutto presente a me stessa, insomma.

Ricordo, però, che ogni tanto si aprivano degli squarci gioiosi: un bacio rubato a un ragazzo, le giornate di sole nel Maryland, la volta in cui i genitori ospitanti di una mia compagna di classe ci portarono a trovare la figlia maggiore, che come nei film americani viveva nel campus di una città vicina.

Ho vissuto la provincia, quella vera. Alloggiavo da questa coppia con figlia minore al seguito e cani: un dalmata iperattivo e un barboncino vecchio come Noè. Di fronte casa, i daini scorrazzavano felici. La campagna e i boschi americani, così ampi da far spaziare lo sguardo come raramente capita in Italia…

Un’America da cartolina

Stati Uniti: puntine sulla cartina geografica
Puntine sulla cartina

L’America che vissi quell’anno era l’America da cartolina, per quanto appannata dal mio stato d’animo altalenante. Le case delle famiglie ospitanti erano belle e le famiglie stesse per lo più ospitali. Andavamo nella High School insieme agli altri ragazzi e lottavamo con la nostra preside, amante della storia dell’arte, che ci voleva far vedere tutti i musei dell’universo.

New York: l’avrò davvero vista quella città? Con lo sguardo velato, osservai il ponte di Brooklyn e salii sull’Empire State Building. Uno dei ricordi più nitidi, però, è rappresentato dalla “scalata” sulle Twin Towers. Sì, posso dire di essere stata una delle ultime persone ad averle viste. Un ricordo che serberò sempre nel cuore, impresso a fuoco dall’attentato del 2001.

Viaggio negli Stati Uniti da serie tv: Berkeley e San Francisco

Tornai negli USA nel 2011. Ve lo avrò raccontato 100 volte: vinsi una borsa di studio per preparare la mia tesi e scelsi Berkeley. Feci pace con gli Stati Uniti del mio primissimo impatto, anche se ebbi a che fare con una parte decisamente più piccola, ma con il cuore ingrandito dalla gioia.

Berkeley e San Francisco, due città che ho adorato sin dal primo istante.

Stati Uniti, anno 2019: miseria e nobiltà

La vista sui grattacieli di San José dall'hotel Marriott
Dall’hotel Marriott di San José

Il ritorno negli Stati Uniti

Infine, anno 2019: di nuovo San Francisco (e San José) per una fortunata selezione come local guide per conto di Google Maps (di quest’esperienza vi parlerò nel prossimo post).

Ho amato di nuovo San Francisco, se possibile anche di più. Ma questa volta i miei occhi si sono aperti su una realtà che in passato era finita in secondo piano. Bella San Francisco, certo. Peccato che, come tutte le città americane, dietro la splendente facciata (con il Golden Gate a fare da sfondo), si celi una realtà fatta di miseria e droga.

Né l’una né l’latra mancano in Italia e, più in generale, nel resto del mondo; eppure questa volta qualcosa mi ha torto le budella. Il livello di degrado è inimmaginabile, nonostante la città sia pulita e allegra e piacevolmente fricchettona.

Ho visto barboni (no: mi rifiuto di dire senzatetto) ridotti malissimo, con le mani gialle. Ho poi scoperto che si tratta di un effetto del crack. Camminando, mi sono imbattuta in un ragazzo che si infilava la siringa nel braccio proprio in mezzo alla strada, in pieno centro. E poi giovani in preda ad allucinazioni, che si muovevano sincopati per via di chissà quali visioni. Qualche passante rideva, perché – si sa – le allucinazioni fanno fare cose strane.

La povertà, così in netto contrasto con lo sfavillio delle vetrine e dei grattacieli; la solitudine tremenda che si avverte tra le strade, sorta di realtà parallela a quella dei finanzieri con il caffè in mano e il passo svelto. Accanto a padri in forma, che fanno jogging portando con sé fulgidi cani e persino passeggini, uomini e donne che raccontano realtà fatte di cenci, sguardi persi, disperazioni assuefatte.

A Mission, il quartiere latino della città, ho visto gente dormire letteralmente in mezzo alla strada. Una donna, sdraiata su un materasso, si faceva portare una bevanda da un amico. L’ho osservata, anche se per pochi istanti; inevitabili, le domande si sono affollate nella mia mente e – inutile dirlo – non hanno trovato risposta.

Com’è possibile che un essere umano si riduca a un livello talmente randagio da farlo assomigliare a quei cani che giacciono pigri, malati (e spesso violenti) ai bordi delle strade di alcune città?

Stati Uniti: le Painted Ladies di San Francisco al tramonto
Le più che decorose Painted Ladies

Cosa, esattamente, induce uomini, donne, ragazzi (!) ad accovacciarsi su stessi, a perdere completamente la dignità oltre che un tetto? Mi si potrà dire che la crisi, eccetera eccetera. No, c’è qualcosa di più e lo afferro a stento. Ad avermi impressionata è proprio quella

 sottile che intercorre tra normalità e anormalità, tra la gente comune e quella ai margini. Una sottile linea rossa separa le due dimensioni, facendole incontrare raramente.

Da città del genere ci si aspetterebbero muri pieni di graffiti e angoli con escrementi umani; mezzi pubblici devastati dal vandalismo e vetrine spaccate. Invece tutto è lindo e, paradossalmente, c’è un rispetto della “diversità” (mi riferisco, in particolare modo, a disabilità ed omosessualità) che fa a cazzotti con tutto questo.

Barboni e disperati di vario genere trovano spesso rifugio nei vari Starbucks o nei diner stile anni ’50. Li vedi lì, con la testa penzoloni sul tavolo, che dormono di un sonno che sembra senza coscienza. Ogni tanto gli vengono offerti hamburger e beveroni.

A due tavoli di distanza, una romantica coppietta che si scambia effusioni o due colleghi che parlano di lavoro.

Grattacieli di San José e una casa ai loro piedi
Lo sfavillio dei grattacieli di San José

Qualche volta, questa barriera si rompe: l'”esiliato” di turno si sveglia dal torpore e aggredisce un passante a caso. Non stupisce: nonostante la solitudine coatta e la separazione tra i due mondi, quel miscuglio di emozioni e sentimenti indecifrabili che caratterizzano questa massa reietta si tramuta in urla gettate al vento, in gesti inconsulti che sembrano riempire solo l’anima, in parolacce sputate senz’ordine.

A conclusione di questo mio (breve ma intenso) percorso, un film ambientato a San Francisco: Beautiful Boy. Un itinerario cinematografico nel degrado dato dalla droga che consiglio a tutti di vedere e di far vedere ai propri figli. Ciò che mi fa ridere è quel “vietato ai minori di 14 anni”. E invece è proprio sotto quella soglia che il film andrebbe diffuso!

Beautiful Boy termina con una frase inquietante: negli Stati Uniti, la droga è la prima causa di morte tra le persone sotto i 50 anni.

Andiamo oltre alle notizie che ci riservano i media e diamo una maggiore attenzione a temi d’attualità come la droga; una realtà che, nella nostra mente, è ferma agli anni ’80.

Dagli Stati Uniti mi porto dietro, purtroppo, anche questo bagaglio pesante.

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2 risposte

  1. Il film non lo conosco ma mi hai fatto venire voglia di vederlo prima possibile.
    Ogni volta che incrocio lo sguardo con un mendicante o un barbone anche io mi chiedo cosa l’abbia portato ad arrivare a quel punto. Mi chiedo se sia la vita che a volte si accanisce in modo terribile su una persona o più semplicemente, che arrivati ad un certo punto, si preferisce non combattere più ed arrendersi.

    1. Non lo so Manu… Sono domande a cui è difficile rispondere. Sicuramente è importante farsele, anche perché ciascun sentimento, anche quello apparentemente più lontano, ci appartiene.

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