Libri per viaggiare: 3 modi per andare in India

Libri per viaggiare: ne esistono di altri tipi?

Ogni libro è un viaggio e, anche se l’affermazione può sembrarvi retorica, sono profondamente convinta del potere delle parole e delle immagini-sogno che esse suscitano.

Non sono mai stata in India, ma ho ospitato sul blog Francesca, che ha scritto un articolo con le sue impressioni a caldo su questo Paese che tutti dicono essere difficilissimo.

Forse, come direbbe Folco Quilici, non si può amare l’India. Una frase che va capita, non giudicata. Amare, infatti, è una parola grossa e, quando ci si trova davanti a bellezza e bruttezza mescolate come da nessun’altra parte, è difficile parlare di un sentimento che rimanda a unicorni e arcobaleni.

Ma torniamo ai libri per viaggiare: se volete cogliere qualcosa di questo Paese, ve ne consiglio tre. Ciascuno di loro mi ha fatto fare un viaggio differente, ma sempre a contatto con quel luogo da Mille e una Notte che è l’India…

Libri per viaggiare: l’India raccontata da due indiani e un italiano

I libri per viaggiare in India me li sono ritrovata quasi casualmente tra le mani.

Due di loro (un saggio e il romanzo) mi sono stati regalati. Il terzo, invece, è stata una scelta consapevole.

L’India di Folco Quilici

Libri per viaggiare: due bambini indiani sporchi, davanti alla spazzatura
Bambini

Dopo aver percorso molti itinerari attraverso l’India, credo d’esser giunto a capire almeno uno dei suoi mille segreti; l’ipnosi magica del suo mondo mi si è lentamente rivelata, e ora ho l’impressione d’aver compreso come e perché agisce su chi osserva questo paese, e cerca di stabilire un contatto con la sua gente, tentando di studiarne l’animo. 

Il primo dei libri per viaggiare in India è proprio “India”, di Folco Quilici.

Saggista e documentarista, fu premiato per diversi suoi film, come “Tokyo e il pescecane”, “Ultimo paradiso” e “Sesto continente”.

“India” è un saggio del 2003 e ve lo annovero tra i libri per viaggiare non solo perché parla di una nazione, ma anche per come è scritto: Quilici, infatti, ripercorre tutta la storia dell’India in un flusso di coscienza che sembra ricalcare quello storico (con tutte le sue contraddizioni) in sole 262 pagine.

Ma la storia, in India, conta poco. Il tempo, infatti, è la dimensione meno importante, accozzaglia di strati che si sovrappongono, a creare quella ciclicità che rende noi occidentali quantomeno perplessi: tentiamo di comprenderla, ma non la afferriamo davvero. Il passato, il presente e il futuro convivono fianco a fianco, confondendosi in un andirivieni non riscontrabile altrove.

 

Libri per viaggiare: copertina di "India", di Folco Quilici
“India”

Allora cosa conta in India? Forse la religione (anzi, le religioni)? La spiritualità? Il lavoro? È come se Quilici non riuscisse a dare una spiegazione precisa, perché di preciso, là, non c’è nulla.

Va di moda parlare di luoghi dai forti contrasti. Nulla di più facile: ogni luogo – come ogni essere umano – contiene, in sé, mille contraddizioni. La coerenza è roba per sognatori. Ma l’India è l’incarnazione assoluta di questo assunto.

Un esempio? L’autore ricorda il viaggio con la moglie a bordo del Maharaja Express, il treno più lussuoso dell’India. In una delle tante tappe si imbatté nell’infima casta che ha il compito di catturare i topi che infestano i campi. Anziché ammazzarli, però, uomini e donne di questa casta li buttano altrove. Sono infatti jainisti e si rifiutano di uccidere gli esseri viventi, batteri inclusi. Il che significa che mettono a repentaglio le loro stesse vite, non assumendo antibiotici in caso di necessità.

Lusso e povertà – che esistono in ogni parte del mondo – si mescolano qui a credenze contraddittorie, alla bellezza delle divinità che sbucano sotto forma di idoli in mezzo ai campi, agli atti di generosità e a un sistema – quello delle caste – tra i più brutali al mondo.

“India” è quindi il primo dei libri per viaggiare in questo Paese, cogliendone prima di tutto lo spirito. Un’impresa non facile, che ha visto l’impegno mostruoso di uno scrittore per metterlo nero su bianco.

L’India di Tabish Khair

Il tempio di Bada Bagh al tramonto
Bada Bagh

 

Quel che accade nei piccoli spazi fra le persone è così vasto che spesso misurarlo risulta impossibile.

“La notte della felicità” è il romanzo breve di Tabish Khair, pluripremiato autore inglese di origini indiane. Mi vengono in mente gli indiani privilegiati di cui lo stesso Quilici parla (coloro che hanno potuto studiare all’estero e fare frequenti incursioni intellettuali nel loro Paese, senza fare incontri ravvicinati con il peggio che vi si trova).

La notte della felicità altro non è che Shab-e-baraat, una delle tante festività musulmane. L’unica celebrata da Ahmed, uno dei due personaggi portanti del romanzo, sicuramente il più mite.

L’altro è Anil Mehotra, capo di Ahmed. Un imprenditore che, avendo costruito la sua fortuna partendo da zero, crede solo nella razionalità. Tutto il resto (la famiglia, l’amicizia, l’amore coniugale) assume spessore solo a partire da questo principio e dal lavoro che ne consegue.

Libri per viaggiare: copertina de "La notte della felicità"
La notte della felicità

Diverso è per Ahmed, il quale nella vita ha poco, ma tutto allo stesso tempo. Silenzioso impiegato, efficiente come una formichina, ha alle spalle due soli amori: la moglie e la madre.

Eppure, chi sarà il personaggio più interessante di questo racconto? E cosa c’entra la religione, considerando che uno dei due è musulmano e l’altro induista? Infine, cosa significherà “notte della felicità”: è la sua fine o si tratta di un momento in cui dedicarsi alla bellezza della vita?

Non spoilererò nulla. Sappiate solo che ho divorato questo romanzo, geniale e al contempo semplice.

L’india di Paramahansa Yogananda

Il Taj Mahal al tramonto
Taj Mahal

La vostra natura è la calma.
Avete indossato una maschera di irrequietezza, ossia l’inquietudine della vostra coscienza, che trae origine dagli stimoli dei sentimenti. Voi non siete la maschera, siete il puro e calmo Spirito.

Tra i libri per viaggiare se ne trova uno dedicato interamente alla spiritualità. Ogni tanto cado in tentazione e acquisto saggi che mi rimettano al mondo e me lo facciano osservare da un altro punto di vista.

Come avrete capito, si tratta di uno dei libri per viaggiare dentro di sé più che in un Paese specifico, tenendo conto che di quel Paese Yogananda è il frutto. Sì, dello stesso Paese in cui estrema povertà ed estrema ricchezza (fisica e spirituale) convivono.

“Il divino romanzo” è un’antologia di conferenze in cui il guru indiano parla direttamente al cuore degli uomini, partendo dalla quotidianità. Del resto, è lì che si giocano le maggiori sfide: l’amore coniugale e gli altri tipi di amore sono uniti da un unico filo conduttore: l’amore universale, o divino, che il saggio ci spinge a ricercare nella nostra vita di tutti i giorni.

Libri per viaggiare: copertina de "Il divino romanzo"
Il divino romanzo

Si chiama arte di vivere e la si apprende dalle sofferenze, certo, ma anche dalla capacità di assumere un certo distacco nei confronti delle cose e della vita. Perché è solo capendo che la vita vera è altrove (comunque si intenda questo altrove), che ci si può innalzare sulle difficoltà terrene.

Non è una lettura facile per diversi motivi: i concetti espressi da Paramahansa Yogananda sono squisitamente indiani, nonostante attingano anche alla religione cristiana. Bisogna sapersi calare nella spiritualità orientale per comprende a fondo ciò che la sottende.

Non è semplice, inoltre, perché per noi occidentali la vita materiale ha sicuramente un peso diverso. Inoltre, il nostro contatto con la vita e la morte si limita, nella maggior parte dei casi, a percorsi lineari che nulla hanno a che fare con il concetto indiano di ciclicità.

“Il divino romanzo”, però, è uno dei libri per viaggiare per davvero, aprendo mente e cuore ad altre concezioni, che se anche non entreranno a pie’ pari nella nostra frenetica quotidianità potranno comunque dirigere lo sguardo altrove, oltre quel paraocchi che ci portiamo sempre appresso.

Solo alla fine del libro potremo dire se avremo interiorizzato qualcosa, applicandolo concretamente ai nostri giorni.

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6 risposte

  1. Sai Roby siamo stati in India circa 30 anni fa quando la sua città più popolosa si chiamava Bombey ora Mumbai. Non è stato un viaggio di piacere ma ti posso garantire che quei 40 giorni trascorsi li porto indelebilmente tatuati nella mente. No non è una città facile immagina che siamo atterrati a Bombey in piena notte senza saper né leggere né scrivere incoscienti di cosa ci attendeva ma al contesto determinati in ciò che volevamo. Quei 40 giorni trascorsi li sono sufficienti a scrivere un romanzo fortunatamente a lieto fine. Ed propio lì che ho iniziato ad amare il mondo si propio lì a Bombey la prima volta che salivamo o su un aereo per il resto lascio che sia la tua fantasia a immaginare cosa siano stati. Un abbraccio Roby

    1. La tua storia è estremamente interessante. Io, invece, non ci sono mai stata, semmai avvicinata (il mio viaggio in Sri Lanka). Spesso è nei contesti più difficili che si trova la voglia di vivere davvero.

  2. Non avevo mai pensato a visitare l’India attraverso i libri Ti dirò che io non amo molto il paese ma perché non è che mi ha anche mai attratto tantissimo però visitarle prelibri magari mi permetterà di conoscerla meglio e magari un giorno andare a vederla e visitarla

  3. Molto interessante l’idea di visitare l’India attraverso i libri. Noi abbiamo un conto in sospeso con questo paese, che ci ha costretti a tornare a casa anzitempo a marzo ma appena possibile torneremo.

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