Esci di casa che è autunno e ti ritrovi al Teatro Marcello in maniche corte. Roma è così: ha gli sbalzi d’umore.
La Garbatella era tutta una pozzanghera. Decine di foglie cadevano sull’asfalto bagnato, formando una poltiglia informe, di quelle che si appiccicano irrimediabilmente sotto le suole delle scarpe.
Non fa freddo. Al contrario: questo tempo pare tirar fuori un caldo insano, che si mescola a quello dell’asfalto, percorso da milioni di ruote in corsa.
Tu sei dotata di una giacchetta di ecopelle, che ti porti dietro senza troppa convinzione: non sei ancora pronta per l’esplosione dell’autunno, stagione meravigliosa e malinconica.
Teatro Marcello, una sorta di Colosseo in piccolo

Roma soccorre la tua nostalgia dell’estate con i suoi repentini cambi climatici più tropicali che mediterranei: scendi al capolinea, proprio di fronte al Teatro di Marcello, e ti trovi in un altro luogo. L’attenzione si sposta dal suolo inospitale a un cielo sorprendentemente terso.
Preferisci volgere lo sguardo verso le magnificenti colonne di marmo bianco, che più tardi apprendi essere parte dell’ormai scomparso Tempio di Apollo Sosiano.
Prima di passeggiare intorno al Teatro Marcello, ti spogli della giacca divenuta pesante e decidi di prenderti un caffè e la prima arrabbiatura della giornata in un bar nei paraggi. La signora della cassa, infatti, notando che hai una macchina fotografica al collo, ti chiede un euro. [N.d.r.: era il 2013 e un euro veniva chiesto solo ai turisti!]. Arrivata al banco, ti accorgi che i clienti abituali sfoggiano uno scontrino da ottanta centesimi ma tu non dici nulla e vai a consolarti altrove. La capitale è anche questo, purtroppo.
Storia di un teatro un po’ nascosto

Fai uno sforzo con la fantasia per cercare di ricostruire l’ambiente in epoca augustea, quando il completamento del teatro venne preso in mano dal magnanimo imperatore insieme al rifacimento dei templi circostanti. Accanto sorgeva invece il Tempio di Bellona, di cui oggi rimane qualche resto, che riposa placido sull’erba (Bellona era la dea della guerra e si pensa che il termine “bello” lo si debba proprio a lei).
In effetti l’archeologia prevede una buona dose di immaginazione, perché è solo con quella che puoi sentire gli odori e i rumori, compreso il chiasso degli spettatori di un’epoca ormai remota.
Nonostante odori e rumori della contemporaneità lascino poco spazio alla riflessione, non stenti a immaginare la vita di un tempo, caotica (anche se di un caos diverso), ma dedita alla bellezza e all’armonia delle forme, valori che oggi sembrano puntare solo sul corpo femminile.
Purtroppo in questa giornata non puoi entrare nella zona archeologica del Teatro Marcello e allora ci giri intorno, in direzione del Tevere, dove scopri per la tua prima volta la presenza di un orso, simbolo della famiglia Orsini, che nel XVIII secolo divenne proprietaria del palazzo accanto al quale la statua si erge.

Basta fare ancora qualche passo e, mentre osservi delle ex mangiatoie di pietra dietro a un cancello di ferro, quasi non ti accorgi della sinagoga. Ed ecco che sei al Ghetto.
Meravigliosa Roma! Una delle poche città al mondo dove anche dopo cent’anni ti puoi rendere conto di non sapere nulla…
Ma è tardi e devi tornare a casa.
“È già buio”, pensi mentre rimpiangi la duratura luce estiva e l’ormai prossimo termine dell’ora legale.
Ti accosti sul ciglio della strada, in attesa del tuo autobus 716, e di andare a cena a Ponte Milvio.
Ma questa è un’altra storia.