Ebbene sì, esistono anche loro: i racconti di viaggio o i racconti in viaggio. Non si può parlare di persone, luoghi e atmosfere solo dando istruzioni per l’uso: cosa fare qui, dove andare là.
Oggi condivido con voi un pezzetto di vita (mia? Altrui? Inventata? Chissà…), augurandomi che vi perdiate, anche nell’arco di qualche rigo, in questo racconto di viaggio.
Se volete, datemi pure il vostro feedback. A presto su questi schermi!

Aveva i pantaloni bianchi, una giacca nera di jeans con il bordo superiore di finta mucca e la radiosità di chi, quel giorno, compiva 22 anni.
Si trovava già a bordo del secondo aereo, che l’avrebbe condotta a Montreal. Gli ultimi sessanta minuti di volo: ben pochi se paragonati alle 10 ore che l’avevano vista prima issarsi su Fiumicino e poi atterrare a Toronto.
Lei e il canadese erano separati da un sedile, cosa che non impedì al casuale compagno di viaggio di accorgersi della sua tremarella. Lui parlava francese, ma per farsi capire finse di mordicchiarsi le unghie delle mani con fare ansioso. Era un punto di domanda, mimato come nei teatri di strada o nei cartoni animati. Lei rispose imbarazzata qualcosa (ricordo solo il suo sorriso sghembo). È difficile ammettere la paura.
L’aeromobile volò insieme a quell’ora scarsa, durante la quale il canadese armeggiò con il pc.
All’aeroporto Pierre Elliott Trudeau c’era il suo ragazzo ad attenderla, ma il tizio della poltrona lato corridoio sarebbe stato una valida alternativa. Così pensava osservando le nuvole, civettuola all’idea di questa potenziale contesa tra due uomini così diversi.
L’Embraer di Air Canada si limitava a fare il suo mestiere, indifferente come le nuvole alle elucubrazioni dei passeggeri e ai piedi ghiacciati di lei, coperti a malapena da un paio di sandali neri tutti stringhe
Una volta atterrati, il canadese estrasse la giacca muccata dalla cappelliera e la aiutò a indossarla. Che fosse il portabandiera della nazione? Un gesto di europea galanteria, perfetto perché avvenne lì, performato da due attori di una brillante sceneggiatura senza dialoghi, inconsapevole ponte sul quale la ragazza corse con i suoi tacchi neri verso l’aeroporto.