Il mio viaggio nei Balcani mi ha dato la possibilità di tornare in Bosnia dopo 26 anni. Dal mare e dal sole croati al carattere dimesso di un paese in lenta rinascita: nel giro di pochi chilometri, un cambiamento progressivo che mi ha portata nella malinconica Mostar.
Ci tornerei? La mia risposta è sì e in questo articolo vi spiego perché.
Mostar: cosa fare e vedere

La Bosnia si presenta da subito come un paese in difficoltà ma in lenta ripresa. In mezzo al verde delle montagne che costeggiano la strada verso Mostar, un asfalto malmesso e automobili anni ’80. L’aria che respiro è di lieve tristezza.
Nulla di eclatante, nessuna disperazione evidente. Solo un velo appena percepibile, che paradossalmente mi dà la possibilità di rilassarmi.
Prima di arrivare a Mostar, città che desideravo visitare da tempo, decidiamo di fermarci a Medjugorje, che si trova proprio sul tragitto che stiamo percorrendo. Parcheggiamo la macchina in uno dei pochi spiazzi non occupati dai pullman dei pellegrini.
Arrivati di fronte alla parrocchia di San Giacomo, ci accoglie il suono delle campane. Amo le campane e, nonostante i negozi di souvenir vendano rosari e Madonne a buon mercato, l’atmosfera di questo posto mi piace.
Entro in chiesa senza troppe aspettative ma quello che mi trovo davanti è uno spettacolo di devozione che mi colpisce nel profondo. Una ragazza dall’aspetto “normale”, di quelle che ti aspetti di trovare in un locale di Trastevere il venerdì sera, è inginocchiata di fronte alla statua della Madonna, concentrata e luminosa.
Uscendo, ascolto il prete recitare le preghiere in più lingue di fronte a una folla non troppo nutrita ma concentrata. Concentrazione: una qualità che, in quest’epoca di telefonini ed evasioni, sembra ormai scomparsa.
La nostra è una breve pausa, perché il proprietario della guesthouse di Mostar ci sta aspettando.
Percorrere lo Stari Most con consapevolezza

Arriviamo di sera. Il proprietario della guesthouse è un tipo sfuggente e apparentemente un po’ burbero. Ci raccomanda solo di stare attenti ai borseggiatori, per lo più ragazze e bambine. La stanza, in stile etnico-ottomano, è colorata e accogliente.
La via che porta dalla guesthouse al centro storico, invece, è molto buia. Ho quasi paura, soprattutto per le parole di quest’omone biondo.
Il centro di Mostar, all’inizio, mi sembra come il paese dei Playmobil. Peccato che dei Playmobil non abbia la storia spensierata alla base: la città bosniaca, infatti, è stata completamente ricostruita dopo i bombardamenti degli anni ’90. Oggi, per sua fortuna (e sfortuna), è su misura di turista.
Impossibile camminare sul selciato con i tacchi o la suola sottile: i sampietrini lucidi e scivolosi riprendono la pavimentazione originale, di epoca ottomana, e fanno male ai piedi.
Lo Stari Most è il simbolo di Mostar: bombardato nel 1993, il ponte è stato ricreato a immagine e somiglianza del precedente e, ancora oggi, unisce la zona musulmana della città (quella in cui dormo) con quella cristiana. Simbolo di unione, quindi, oltre che di rinascita.
I ristoranti e i locali puntano troppo e comprensibilmente sui turisti, snaturando un po’ l’anima della città. Non so cosa pensare, cosa provare di fronte a questo. Il fascino di Mostar, però, è indiscutibile: osservare il ponte da lontano, sorta di elegante gobba sul fiume Narenta, è uno degli spettacoli più suggestivi che abbia mai visto.
Andare in giro per moschee

Le moschee, a Mostar, non si contano. Non puoi ignorarle: il muezzin ti entra prepotentemente nelle vene in specifici momenti della giornata e io, che devo avere qualche cosa di arabo nel DNA, non riesco a non vagare incantata sulle note di questo canto quasi disperato.
Al tramonto si ferma tutto per un istante: puoi sentire l’ancestrale preghiera sollevarsi dai minareti e lambire ogni cosa con il suo tocco magico. Solo il fiume sembra muoversi e chissà cosa racconterebbe, se potesse parlare.
Tra i tanti luoghi di culto, scelgo di visitare la moschea Mehmed Karadoz: è vicina alla guesthouse e di fronte al museo che a breve visiterò.
L’imam ci parla dei danni subiti durante la guerra. Perché non c’è persona, in Bosnia, che non parli di guerra. Basta contare i cimiteri sparsi ovunque all’interno e al di fuori dalla città per capire quanto la morte sia ancora presente in questo piccolo stato europeo.
Salgo sul minareto e mi affaccio non senza provare un brivido lungo la schiena: il parapetto mi arriva circa all’altezza dell’ombelico e la paura di cadere si fa presto sentire. Fortunatamente, in quel momento non c’è nessun turista a mettermi pressione.
Splendidi i simboli che ricoprono le pareti della moschea, i tappeti, il lampadario e la fonte per le abluzioni.
La religione islamica, in Bosnia, è moderata e aperta al femminile. Oltre a coprirmi le spalle, devo fare poco altro.
Salutiamo l’imam e ci dirigiamo in un altro luogo impressionante.
Il Museum Of War And Genocide Victims di Mostar

Questo è un luogo che non riesco a raccontare senza banalizzarlo o scadere nel penoso. Il nome del museo dice già tutto. Posso solo dire due cose: andateci. E riflettete sul fatto che una guerra a noi così vicina, geograficamente e temporalmente, sia così poco ricordata. Chiediamoci perché.
In una teca, il pallone e lo zaino di un ragazzino centrato dalle bombe; in un’altra, una giacca insanguinata. Sotto ciascuna, le storie. Non delle semplici spiegazioni: ogni persona che perse la vita o che venne catturata e torturata durante la guerra ha ricevuto il “giusto” tributo grazie alle parole di chi si è preso la briga di raccontare. Nessun sentimentalismo ma fatti nudi e crudi.
La memoria è già dolore, come direbbe Fabrizio De André.
Mostar: contemplare i simboli della ricostruzione

Conoscere Mostar significa anche conoscerne le periferie. Camminando fuori dal centro, arriviamo di fronte al Gimnazija Mosta, il ginnasio della città. Questo palazzo giallo spicca tra quelli sventrati che lo circondano. Il passato e il presente vivono fianco a fianco, senza rimozioni, tant’è che non si è voluto restaurare gli edifici feriti. Che la potenza dei ricordi tocchi ancora l’anima di chi osserva.
Poco lontano, il cimitero monumentale dei partigiani jugoslavi della Seconda Guerra Mondiale. Un luogo inquietante e surreale, in cui ci ritroviamo a camminare soli tra le erbacce e molte lapidi senza nome. Il cimitero è stato completamente abbandonato per motivi ideologici: simbolo dell’antifascismo, è stato contestato durante le guerre balcaniche degli anni ’90. Oggi sopravvive la sua architettura di notevole bruttezza “sovietica” ma di grande potenza evocativa.
Consigli per un viaggio a Mostar

Dove mangiare a Mostar
– Restoran Šadrvan: questo ristorante ci è stato consigliato dal proprietario della guesthouse. È un posto turistico ma non più della maggior parte dei ristoranti di Mostar. La cucina è di ascendenza ottomana e abbastanza buona. Piatti tipici? Uno su tutti: il cevap (carne a pezzi).
– Restoran Babilon. Anche questo turistico, ha una pregio: la vista fenomenale sullo Stari Most. Ho mangiato qui al tramonto, con il muezzin in sottofondo, e ricorderò per sempre la suggestione del momento…
– Se volete fare colazione al bar, sappiate che non servono cornetti o dolci, se non nella parte più turistica della città. L’alternativa è portarsi al bar un croissant comprato in panetteria.
Dove dormire a Mostar
– Villa Globus: il proprietario Sanel (il burbero di cui sopra) è in realtà una persona gentile e disponibile. Il posto è molto carino e confortevole. Un ottimo compromesso, vista anche la vicinanza con il centro.
P.S.: Abbandonarsi alla tristezza di un luogo, talvolta, è liberatorio. Ci aiuta a tirare fuori sentimenti sopiti e a non nasconderli dietro a una facciata perennemente e stoltamente allegra.
16 risposte
Che dire? Mi è sembrato di essere lì con te, come se Mostar l’avessi davanti agli occhi. ?
Grazie Giulia, che complimento bellissimo 🙂
Un luogo malinconico da visitare. Le scene tragiche delle guerra devono essere ancora ben presenti nella memoria della popolazione.
È un Paese che mi piacerebbe scoprire quanto prima.
Grazie caro Fausto… Credo che sarebbe un viaggio adatto a te
Sai che la Bosnia non la conosco, a dire il vero non mi era mai venuta in mente come viaggio. Ma leggendoti e guardando le foto mi hai incuriosita molto, un paese che dalle foto mi sembra molto coccolo, quasi un presepe, un paese che dopo la guerra si è tirato su le maniche e ricostruito tutto. Prima volta che leggo un articolo sulla Bosnia, grande Roberta
Grazie Anna, troppo gentile! Beh, in effetti è un viaggio insolito. Del resto, i viaggi “soliti” non mi sono mai particolarmente piaciuti ^_^
Io ho amato molto Mostar: ho amato il suo fascino crepuscolare e mi sono seduta diverse volte ad ascoltare le campane cristiane suonare insieme al canto del muezzin dall’altra parte del ponte. E mi piaceva parlare con “il signore matto” che passeggiava su e giù sul ponte, tutti i giorni.
E mi piaceva vedere i ragazzi bosniaci che si tuffavano nel fiume e di uno mi sono anche un po’ innamorata. Sai, quei colpi di fulmine e storie d’amore che durano 10 secondi.
Fascino crepuscolare è una definizione perfetta. E sì, ho presente quando ci si innamora per una manciata di secondi… Sono una specialista, in questo 😉
Robi ma che bello questo articolo! sai che sono un’appassionata di Balcani, ma ancora in Bosnia non sono stata! quindi ho letto tutto davvero con interesse! sembra esserci un’atmosfera unica in questi posti!
Grazie Stefy! Sono assolutamente certa che Mostar ti piacerebbe. Fuori stagione però…
Tutti vanno a Mostar per andare a Medjugorje o passando di li, ma vedere il paese collegato con la sua quotidianità da una visione più reale della vita di quella zona martoriata dalle guerre
Eh sì, cara Hartine… Io ho fatto il contrario: sono passata da Medjugorje per andare a Mostar. Città splendida
Una descrizione molto puntuale e coinvolgente. Non ho mai preso in considerazione questa città, ma con il tuo racconto mi hai affascinata.
Grazie Dani. Ti piacerebbe un sacco!
Un luogo molto interessante e malinconico! Da quando ho letto Venuto al mondo, della Mazzantini, ho il desiderio di visitare i Balcani.
Ecco, questo mi manca. Ho visto il film ma non letto il libro. Per cui rimedierò 🙂