Chi non vive a Roma, non immagina il vuoto desolante che la caratterizza da mesi.
Di Roma si è sempre potuto dire tutto, tranne che sia vuota, appunto. Oggi il Pantheon sembra il protagonista di un film di fantascienza: in 15 anni di vita nella capitale, non ho mai visto tanto spazio di fronte a uno dei monumenti più belli del mondo.
Ma è camminando a Trastevere che mi viene da piangere: ristoranti e bar chiusi, alcuni definitivamente. L’animosità di questo quartiere non esiste più. In compenso, una fila di affamati attende il suo pasto frugale.
Ho letto tanti discorsi retorici sulla pandemia, ma ciò che vedo adesso è una lenta caduta di ciò che era prima. Spero di sbagliarmi e che, al posto dei miliardi di rider che consegnano prelibatezze in stoviglie di carta, ritrovi la vita festosa di un tempo.
Passeggiata (desolante) tra le vie di Roma

È una mattina d’inverno. Il sole muta, nel corso delle ore, in una sorta di foschia che ottunde i sensi, in sintonia con il mio stato d’animo.
La mia passeggiata nella capitale inizia a Piazzale Flaminio, di fronte all’omonima fermata della metro. Non voglio andare in centro, ma sulle sponde del Tevere: si può infatti seguirne il flusso non solo da un ponte all’altro, ma anche al suo livello.
La pioggia battente dei giorni scorsi, però, ha sommerso completamente gli argini, rendendo impossibile il mio proposito. Decido quindi di tornare indietro e battere il centro a tappeto: parto da Piazza del Popolo e mi dirigo verso Via Margutta, famosa per le sue gallerie d’arte.

L’atmosfera, in Via Margutta, è sì rarefatta, ma non troppo. In fin dei conti, gli avventori da galleria non sono mai stati tanti: si tratta di uno shopping di lusso, non certo di negozi alla portata del semplice abitante o turista.
Sbuco in Piazza di Spagna, i cui immacolati scalini sono soliti ospitare latin lover, “bangladini” che vendono rose, turisti della domenica, fotografi amatoriali e vigili. Oggi, invece, c’è solo una carrozza trainata da cavalli, ad aspettare chissà chi. Trinità dei Monti non è mai stata così vuota.
Percorro a zigzag tra le stradine che incrociano, perpendicolarmente, Via del Corso: Via Frattina e Via Condotti, per esempio. Nessun giapponese (né russi né cinesi) a fiondarsi da Louis Vuitton o da Prada.
Solo Palazzo Chigi vede qualche testa fare capolino, tra giornalisti e politici che fanno avanti e indietro.
Dov’è finito Campo de’ Fiori?

Arrivo a Campo de’ Fiori, degli spettacoli il più triste. Almeno per il momento.
Ci sono quattro sparute bancarelle e non il movimento che, da sempre, la caratterizza. I venditori sono pacati, ormai: si limitano a esporre la merce e a venderla a qualche passante. Verdura, vestiti e fiori: per chi (viene da chiedersi)?
A campeggiare sulla piazza c’è il solito Giordano Bruno, che non so cosa direbbe se potesse parlare. Proprio lui, abituato ai cocci di bottiglia dei giovani beoni, che il venerdì sera – soprattutto – si radunavano qui a divertirsi e, talvolta, a dare di matto.
Perché solo le statue possono parlare con un minimo di oggettività. Cosa direbbe il “Pasquino”? Sono certa che gli abitanti, se intervistati, si dividerebbero nelle due fazioni cui la frequentazione dei social ci ha abituati: da un lato i cosiddetti negazionisti, dall’altro coloro che “ce lo siamo meritati”.
Come sempre, manca l’equilibrio, una visione d’insieme che tenga conto delle emozioni e dei pensieri di tutti. Ecco perché vorrei chiedere alle statue. Chè, del resto, sempre personaggi di un certo rilievo sono. Fu Giordano Bruno a dire:
“È prova di una mente semplice e molto primitiva che uno desideri di pensare come le masse o la maggioranza, semplicemente perché la maggioranza è maggioranza. La verità non cambia perché è, o non è, creduta dalla maggioranza delle persone.”
Ridatemi Trastevere

A Trastevere raggiungo il picco dello straniamento: vengo qui per mangiare un boccone e trovo le serrande dei bar e dei ristoranti abbassate. Pare che resistano solo un paio di trattorie e di negozi.
No, questa non è Trastevere. Non bastano i monumenti a darle un’identità: le sue radici affondano nel viavai tipicamente romano, nei colpi di fulmine inferti agli stranieri, nei venditori molesti e nei suonatori d’occasione, nelle messe e nelle processioni, nei gruppi che qui vengono a fare baldoria.
Cammino sentendomi come Clint Eastwood in Per Un Pugno di Dollari.
È come l’eterno meriggio del meridione: il sole a battere sui sampietrini, il silenzio a indicare il riposo, le saracinesche a chiudere in via temporanea. Peccato che questo sia un “meriggio” lungo un anno, che attende di diventare un tramonto e poi un crepuscolo brulicanti vita, con le tovaglie a quadri bianchi e rossi per americani in fissa con l’Italia da film a spiegarsi su tavoli prima di vino e Carbonara.
Me ne allontano in fretta, come spaventata.
Il Ghetto di Roma è meno ghettizzato

Ho fame e mi viene in mente il Ghetto. Qui trovo tutto aperto, anche se ovviamente i piatti sono da asporto.
Ordino tonnarelli cacio e pepe e mi siedo su una panchina tirando un sospiro di sollievo. Certo che sono un po’ cari questi tonnarelli… Ma non proferisco parola, grata di aver trovato qualcosa con cui riempire lo stomaco.
Prendo un caffè e chiedo dove si trovi il bagno, ma il ristoratore non può farmi accedere. E allora – mi chiedo – dove si va in caso di necessità fisiologiche? Mi viene in mente la Feltrinelli di Largo Argentina, dove si può, previo inserimento di un euro nell’apposita macchinetta.
Il tempo è, più che plumbeo, bianco. Secondo me il cielo non riconosce Roma e non sa di che colore farsi. Ogni tanto torna terso come sempre, ma dura poco: anche lui è affranto.
E allora prendo l’autobus e vado sull’Aventino.
L’Aventino e il buco senza occhi

Voglio rivedere per la millesima volta il Giardino degli Aranci, ma lo trovo chiuso. Anche lui… La causa è il meteo della settimana passata: due alberi sono pericolanti, ma il giardino riaprirà a giorni.
E il buco della serratura (sì, quello che regala una prospettiva magnifica sulla cupola di San Pietro)? È senza occhi: arrivo io per prima e la mia malinconia si scioglie quando si aggiungono due uomini, che creano una scenetta che sembra approntata solo per me:
– Ahó, nun se vede gnente!
– Che stai a di’, c’è a cupola de San Pietro en fonno.– Nun la vedo!
– Ma che sei, ‘n’cefalitico?
Il cimitero cimiteriale

Provo ad andare al Cimitero Acattolico, ma – manco a dirlo – è chiuso…
Basta, mi arrendo: l’atmosfera cimiteriale, a Testaccio, proprio no! Torno a casa, passando da un’Ostiense più grigia che mai, ma pur sempre trafficata, sporca a caotica.
Il percorso verso la Garbatella è una sorta di Via Crucis di mascherine, ciabatte abbandonate ed escrementi vari.
Persino i villini – o meglio, i lotti – mi sembrano tetri, sorta di castelli di Dracula travestiti da case.
Ma io attendo il cielo terso e la riapertura dei musei, il mio naso libero da filtri e persino i maleducati che pressano da ogni dove, qui in città.
Perché non può esserci vita senza vita.
E se non vi basta ciò che ho scritto, date un’occhiata a questo video magnifico:
10 risposte
Un racconto che riassume bene le sensazioni provate da noi romani; una città ormai resa irriconoscibile dalla pandemia, in cui aleggiano desolazione e scoramento. E come potrebbe essere altrimenti vedendo le strade vuote, le saracinesche abbassate, spesso per sempre…il mio pensiero va sempre a bar, ristoranti, mercati, negozianti. Mi piange il cuore
A chi lo dici Ilenia… Speriamo bene
Non posso immaginare Roma con il rimbombo dei tacchi in strade desolate: l’ho sempre visitata unita ad un serpentone di turisti con gli ombrellini a mo’ di richiami per i gruppi. Questa pandemia ha tarpato le ali ai viaggiatori, ma ha chiuso le strade della città eterna a migliaia di visitatori. Se può consoltarti, anche Milano non è messa meglio…
Lo immagino 🙁
L’ultima volta che sono stata a Roma confesso di aver maledetto le orde di turisti incuranti, rumorosi e sudacchiati che incontravo sulla mia strada. Ero lì per lavoro e il mio grado di sopportazione era abbastanza basso. Mentre leggevo il tuo articolo, ho pensato che, anche se triste, questa Roma desolata andrebbe vista almeno una volta nella vita. Immediatamente, però, la mia anima da albergatrice si è destata e non ho potuto non pensare agli ingenti danni economici che questo vuoto ha prodotto e continuerà a produrre.
Purtroppo si vedranno sulla lunga distanza…
Non sai quanto avrei dato certe mattine sulla metro A stipati come sardine di trovare quella desolazione 🙂 E invece no, il turista esce alle 8.00 di mattina e si stipa, zaino e tutto con i pendolari. Scherzi a parte, dev’essere un periodo proprio strano
Io come te, ma mai avrei voluto che questo svuotamento accadesse a causa di una pandemia.
Vivo a Roma come te, ma durante i picchi dei contagi non sono mai andata al centro perché abito leggermente fuori e prendere i mezzi pubblici mi metteva ansia. Posso immaginare che brutta sensazione hai provato, soprattutto a Campo de’ Fiori. Quanto ai ristoranti chiusi, purtroppo so che diversi locali in centro, che stavano lì da generazioni e lavoravano come matti, hanno dovuto chiudere tutto per l’assenza dei turisti e gli affitti impossibili da sostenere. E’ tutto molto triste…
Concordo. E se ne parla poco. Troppo poco…