Metti una persona estremamente arrabbiata. Spostala in un castello aragonese al tramonto. Chi avrà la meglio?
Nel mio caso il secondo, anche se – è dura ammetterlo – per poco. Il tanto che basta. Del resto, è mpossibile rimanere impassibili – scusate il gioco di parole – di fronte al sole che cala dietro a un pigro mercantile in pieno Mar Grande.
Visita al Castello Aragonese di Taranto
Non potevo non fare questa premessa, perché al Castello Aragonese di Taranto arrivo proprio al tramonto, portandomi dietro questa rabbia momentaneamente addormentata. Nulla, più della vista di uno spettacolo naturale, seguita dalla visita a un luogo storico, può calmare i bollenti spiriti.
In realtà, quello Aragonese non è un vero e proprio castello ma una struttura militare del 1400 c.a. Tuttora è gestito dalla Marina Militare Italiana ed è proprio un sottufficiale che mi fa da cicerone lungo i corridoi dell’affascinante fortezza.
La gentile guida mi mostra, per prima cosa, un paio di curiosità conservate dietro a una teca di fronte al modellino della struttura, che mostra una quinta torre, poi demolita per far posto al famoso ponte girevole.
Visita al Castello Aragonese di Taranto: gli inestimabili cimeli
Ma torniamo alle due curiosità. La prima: ciò che rimane di un pacchetto di sigarette, che recita “Naris stronca il raffreddore”. Pubblicità incosciente al fumo o ignoranza in materia? Del resto erano ancora gli anni Quaranta, quando il Castello Aragonese era adibito anche a caserma.
La seconda curiosità è rappresentata da una lettera, scritta da un militare alla propria amata negli anni della Seconda Guerra Mondiale. Una lettera mai inviata e, anzi, fatta in mille pezzi dal mittente stesso. Basta leggere il contenuto, oggi in un foglio pulito posto di fronte ai brandelli, per capire il perché. A proposito di rabbia…
A pochi metri, il modellino della città vecchia, la quale sorge proprio di fronte a Castel Sant’Angelo – questo il vero nome del forte -, costruito dagli studenti del liceo artistico.
Mi aggiro per le tante stanze, all’interno di una delle quali spiccano pezzi dell’antica acropoli greca. Mi chiedo come molti di noi possano ancora ignorare la ricchezza del nostro patrimonio storico-artistico. Come non tremare di fronte a tanto passato?
Un leone – furibondo? Poco convinto? – fa capolino nel cortile splendidamente ristrutturato.
Le grate di uno stanzone, che potrebbe sembrare adatto a sfarzosi ricevimenti, dichiarano uno dei tanti utilizzi fatti nel tempo della fortezza: quello di settecentesca prigione. Lo spazio aperto in basso, presumibilmente, serviva a far passare il rancio per i detenuti. Ancora rabbia…
Altre grate sporgono sul canale che unisce il Mar Grande al Mar Piccolo, laddove il ponte girevole spalanca le braccia a far passare le navi.
La rabbia – o è ansia? Come definire con precisione un “mood”? – ricomincia a salire, mentre osservo i merli della parte interrata di una delle torri, che un tempo appariva così anche all’esterno. Riuscirà la bellezza a contenermi?
E poi due cannoni, a mo’ di reliquia di ciò che un tempo, più che rabbia, fu odio. Adesso puntano all’orizzonte, ormai impotenti.
In direzione dell’uscita, un memento mori di epoca medievale. La mia guida mi dice che lo osserva tutti i giorni, passando da lì. E io sono convinta che non possa che fare bene ricordarsi il più spesso possibile della nostra caducità.
In ultimo, salgo in terrazza, a godermi lo spettacolo di luci creato da mercantili, petroliere e navi militari. La vita è troppo bella per sprecarla con emozioni autodistruttive.