Viaggi terapeutici: la travel therapy è per tutti

Viaggi terapeutici: cosa sono? Ci penso dal 1992…

Non era la prima volta che andavo all’estero: precedentemente ero stata in Germania, Grecia, Spagna e Portogallo. Poco dopo aver compiuto 14 anni, però, successe qualcosa.

Si può riassumere in un’espressione che oggi va di moda: terapeutici. I viaggi sono terapeutici.

Non vale per tutti e non vale per il viaggio in sé. Vale per le anime alla ricerca di qualcosa, vale per le assonanze con i luoghi d’elezione e – diciamocela tutta – vale per alcuni Paesi più che per altri. Paesi dotati di una potente energia, che non possono che entrare in risonanza con il mondo di bisogni che ci portiamo dietro.

Viaggi terapeutici: la Turchia

Viaggi terapeutici: famiglia italiana in Turchia
Viaggiare in famiglia

I miei genitori comprarono un Fiat 238 tutto scassato: quell’estate avremmo raggiunto la Turchia in piena guerra dei Balcani. E fu proprio dai Balcani che passammo per raggiungere la tanto agognata Istanbul.

Dormivo su una branda penzolante in tempi non sospetti, quando ancora non si parlava della cosiddetta van life. Mangiavo in gamelle arrangiate e in osterie a bordo strada; andavo in bagno ovunque tranne che in camper, visto che il bagno, là dentro, consisteva solo in un wc chimico (usato rigorosamente per le emergenze).

Istanbul fu una specie di premio finale dopo la fatica del viaggio, che comunque non finì lì: andammo oltre, fino ad Ankara, perché quei folli dei miei genitori avrebbero voluto raggiungere la Siria. Alla fine desistettero, considerati tutti i disordini.

La spazzatura conviveva in maniera quasi armoniosa con la grandiosità delle moschee; quello che oggi viene chiamato street food fu una scoperta sensazionale per le mie papille quattordicenni. La gentilezza dei turchi, il canto del muezzin, la Cappadocia non ancora invasa dalle instagrammabilissime mongolfiere.

Fu il mio primo viaggio terapeutico, quello che mi aprì gli occhi sul mondo là fuori, catapultandomi lontano da insopportabili compagni di classe e professori del tutto privi di empatia, ma pieni di nozioni che avrei presto dimenticato. Quel viaggio, invece, è ancora con me.

[Se vuoi leggere il mio racconto (tra i racconti vincitori del concorso Anas), vai a questo link].

Viaggi terapeutici: il Canada

Viaggi emotivi: lo skyline di Montreal di sera
Montreal

Fu beve, ma intenso: avevo 22 anni (compiuti in volo) e andai a trovare il mio ragazzo, che si trovava a Montréal per lavoro. Visitammo anche Quebec City, da dove poi ripartii per Roma.

Fu il mio primo volo da sola, il viaggio dell’innamoramento, ma anche dell’emancipazione.

Porto con me l’apertura e cordialità dei canadesi, i croissant giganti del mattino, la tenerezza e il Mount Royal Park di Montréal; ma anche i vicoli e l’atmosfera europei di Quebec City, il fiume Sam Lorenzo e i bellissimi skyline di entrambe.

Il mio viaggio in Egitto

Il mare di Sharm el Sheikh
Il mare di Sharm El Sheikh

L’Egitto è un Paese magnifico, di quelli che penetrano anche le corazze più dure. Bisogna andare al di là delle apparenze sfoggiate dai luoghi più commerciali (come Sharm el-Sheikh) e capirlo. Capire il modo di fare degli egiziani, il rapporto che hanno con i turisti e anche l’economia locale – perché no?

Il mio Egitto è quello dei viaggi notturni su pullman folli da Sharm al Cairo, ma anche quello della conquista del mio brevetto sub, che mi ha consentito di ammirare pesci dall’aspetto meraviglioso e di mettere alla prova la mia latente claustrofobia.

Il mio Egitto è quello della polvere che si solleva al tramonto davanti a un drink fatto solo di frutta freschissima (il mango!) e dei datteri giganti mangiati in piscina. Ma è soprattutto quello delle atmosfere da Mille e una Notte, difficili da riportare in un articolo.

I profumi intensi, le notti particolarmente dolci, la vita di alcuni occidentali che lo hanno scelto per vivere in modo più libero e a contatto con la natura. Viaggiare per credere.

Viaggi terapeutici: il Brasile

Rio de Janeiro vista dall'alto
Rio

Ho sempre amato la Bossa Nova. E il samba. Ho sempre invidiato con benevolenza i bacini snodati e i corpi che seguono il rimo in maniera pedissequa e fantasiosa allo stesso tempo. E Brasile fu.

Cosa devo dirvi? Che salire sul Pan di Zucchero è un’esperienza commovente, quanto è surreale quella di trovarsi ai piedi del Cristo Redentore? Forse che un brasiliano mi offrì gentilmente il suo bellissimo appartamento, trasferendosi momentaneamente dalla fidanzata? Così, sol perché aveva conosciuto i miei genitori durante un viaggio in Italia.

Potrei parlarvi della mia esperienza nella favela di Rocinha, ma anche della notte passata a ballare in una sala popolare piena di giovani e anziani: a nessuna età, in Brasile, si è fuori dai giochi.

Viaggi terapeutici: la spiaggia di Canoa Quebrada
Canoa Quebrada

Viaggi terapeutici: non solo Rio

Le passeggiate sull’immensa spiaggia oceanica di Canoa Quebrada e il bagno con i delfini a Praia da Pipa: questi sono solo alcuni dei bellissimi ricordi che ho di quel viaggio; ma cosa fu a renderlo terapeutico? L’umanità che ho incontrato, unita alle incredibili bellezze naturalistiche.

Le emozioni: ormai patrimonio mondiale dell’umanità, tanto sono rare. Essere ospitata da uno sconosciuto, visitare una favela avvolta dalle parole di una guida speciale, essere invitata a ballare con un semplice gesto della mano e un sorriso da parte di chi già è in pista e nota che tu non ti decidi.

Io credo che i viaggiatori siano viaggiatori soprattutto per ritrovare l’umanità perduta. Perché è questo il filo conduttore che ha unito tutti i miei viaggi: la bellezza non basta. Vincono a mani basse l’ospitalità, l’amicizia, i sorrisi (altro patrimonio mondiale), gli abbracci e le strette di mano. Altrimenti non parlerei di viaggi terapeutici, ma di viaggi belli, divertenti o chissà cos’altro.

Siamo tutti un po’ carenti e dobbiamo rendercene conto, prima di inaridirci in via definitiva.

[Se vuoi saperne di più sul mio viaggio in Brasile, non ti resta che approfondire].

Il mio viaggio in Sri Lanka

10 cose da vedere in Sri lanka: sul treno da Ella a Nuwara Elyia
Sul treno da Ella a Nuwara Eliya

Indovinate un po’? Anche dello Sri Lanka ricordo la profonda umanità, anche se declinata in maniera diversa: Asia e Sud America differiscono in questo tra loro. La prima fa della delicatezza e persino della timidezza il suo inconsapevole punto di forza, mentre il secondo è roboante, allegro, coinvolgente.

Le scimmie – che io adoro – e la giungla hanno fatto il resto. Così come l’oceano di Nilaveli, l’indimenticabile atmosfera di Colombo e le fregature che aspettano i turisti a ogni angolo, i tuk-tuk che sfrecciano a velocità folli e il tramonto sulle mura di Galle.

Ho girato lo Sri Lanka insieme a un autista (lì funziona così, a meno che non si abbia molto tempo da perdere su mezzi pubblici che impiegano un’infinità di tempo ad arrivare a destinazione): non dimenticherò mai la ritrosia con la quale, poco prima che ripartissimo per Roma, salutò me e Mr. F. Una ritrosia che diceva tutto, grazie a un paio di occhi nerissimi che non avevano bisogno di parole.

Occhi. Un terzo patrimonio mondiale in via di quasi estinzione. Occhi scollati dai cellulari, occhi espressivi, occhi liquidi e sentimentali.

Sri Lanka consigli: persone al mercato
Al mercato

Viaggi terapeutici: piangere

Piansi molto. Tornata a Roma, mi sembrò l’inferno sulla terra. Anura – così si chiamava – ci presentò orgoglioso la sua famiglia. La moglie ci fece trovare un dolce e ci preparò un caffè con la moka. Poche cose in quella casa pulitissima e una dignità rara.

I viaggi sono terapeutici, ma fanno anche male: mettono in luce quello che ci manca o che manca al luogo in cui viviamo. E si fa presto a dire che tutto il mondo è paese: ci sono paesi che hanno fatto della rabbia e dell’indifferenza le emozioni dominanti, pur essendo sempre presenti eccezioni che fanno bene al cuore.

[Leggi il mio articolo sullo Sri Lanka]

Viaggi terapeutici: Berkeley

California: il campanile del campus di Berkeley
Berkeley

Fu il viaggio della compensazione. Partii per gli USA per fare delle ricerche sulla mia tesi e rimediai a un errore fatto anni prima: rinunciare alla borsa Erasmus per Madrid.

A Berkeley ho riscoperto me stessa e ho dato prova di forza e autonomia in diverse occasioni. Ho stretto amicizia alla velocità della luce, mangiato pancake, visitato i luoghi del cinema (l’hitchockiana Bodega Bay e l’universale San Francisco).

Un periodo magico, durante il quale ho osservato i colibrì e i procioni dalla finestra di casa, ho frequentato quotidianamente il Campus e ho immensamente goduto della bellezza vivissima della vicina San Francisco, città indimenticabile seppur piena di dolorosi contrasti.

Se oggi mi dovessero chiedere: New York o SF, non avrei dubbi: l’europea SF tutta la vita! È sui suoi tram, tra le sue vie e i piers e percorrendo le sue salite che ho respirato vera libertà.

[Se vuoi saperne di più su San Francisco e sul perché rimane uno dei miei viaggi terapeutici, non ti resta che leggere]

Il mio viaggio in Australia

Viaggiare dentro casa: il deserto intorno ad Alice Springs
Il deserto australiano

Un altro viaggio per raggiungere l’amore e due sole settimane di tempo per un Paese immenso. Ma poco importava, sia per la motivazione che per i luoghi che avrei visitato: Sydney e Melbourne.

Terapeutica Australia? Oh sì. Andare dall’altra parte del mondo lo è. Fare quelle benedette 20 ore di volo ti fanno sudare la meta che, una volta raggiunta, sembra il paradiso. A dire il vero, non credo che Sydney si discosti molto dalle mie idee su possibili paradisi. Perché Sydney è spazi immensi, esotici canti di esotici uccelli, stelle al contrario, animali strani che sbucano dietro l’angolo, stranezze di ogni tipo e lusso e semplicità e verde e oceano.

Bella Melbourne, ma Sydney è imbattibile. Le infinite camminate in ottima compagnia, le incursioni fuori città e quelle due leggende che sono l’Opera House e l’Harbour Bridge hanno reso questo ennesimo viaggio letteralmente indimenticabile.

[Te ne parlo in questo post]

Piccola nota a pie’ di pagina sui miei viaggi terapeutici

Viaggiare fa bene: dune del deserto in Tunisia
Deserto

Non cito la Tunisia, perché non è (o, forse, non era) il posto per me, ma c’è qualcosa che mi ha fatto scoprire e che non dimenticherò mai: il deserto del Sahara.

A Douz (la “porta del Sahara”) sono entrata in contatto con un habitat che mi calza a pennello. Solo qualche ora tra le sue dune e quel silenzio che sembra eterno: indescrivibile a parole. Non un silenzio normale, ma del tutto fuori dal mondo.

È il silenzio dell’anima, il silenzio dei pensieri, il silenzio del dolore, il silenzio dell’umano. Parla il divino tra quei granelli di sabbia che si sparpagliano al vento. Sparisce ogni paura, anche quella di incontri sgraditi con insetti pericolosi.

Perché è il deserto a essere pericoloso: ti spoglia e sconquassa, ti tocca come nemmeno una mano riesce a fare. So che tornerò e mi basta questa consapevolezza per pregustarne l’essenza.

Adesso capite perché dico che i viaggi sono terapeutici?

 

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