Stream of consciousness in Paris: è così che decido di intitolare questo mio post, diversificandolo dai vari “cosa fare” e “cosa vedere” qui e qua. Oggi, infatti, voglio rendervi partecipi del flusso di coscienza di una flâneur che, in poche ore, si è lasciata guidare dall’istinto, senza prefiggersi altro che un errare senza meta nella capitale francese.
Il viaggio dovrebbe essere così secondo me: vagabondaggio. Presi come siamo dalla costruzione di obiettivi a lungo e breve termine, ci risulta difficile lasciarci andare al momento. Ecco perché quattro ore a Parigi hanno rappresentato l’occasione perfetta per riscoprire una parte di me che quasi avevo dimenticato.
Vedere Parigi in 4 ore: errando senza meta
L’altra metà di Lollo deve andare al Salon du Bourget per lavoro e Lollo ne approfitta per fare incetta di atmosfere parigine, anche se per un arco di tempo che molti riterrebbero folle.
Prendo la RER B, la linea suburbana che parte da Le Bourget, comune distante dalla capitale una ventina di minuti. Non c’è un francese “tipico” da queste parti: sembra un paese africano e, per la prima volta, sono io a spiccare nella mia diversità.
Il tempo? Nuvoloso, fresco, nonostante sia il 16 giugno. Salgo sul treno che mi porterà a Notre-Dame: è più semplice di quanto previsto.
Ogni tanto mi dimentico di come sia viaggiare da sola. Certo, si tratta solo di quattro ore, ma in fin dei conti sono all’estero, non parlo una parola di francese, i francesi non amano l’inglese e mi muovo per la prima volta su questa linea ferroviaria. Inizia il mio stream of consciousness parigino.
Notre-Dame: il mio unico punto fermo

Arrivo a Notre-Dame emozionata. L’ho già vista diverse volte, ma trovarsi di fronte alla cattedrale di Parigi ha sempre un che di mistico. Cammino un po’ confusa: i turisti sono più di quanti ne immaginassi. Del resto, Parigi è una delle città più visitate d’Europa e sorpassa anche la mia Roma, che quanto a organizzazione e pulizia lascia parecchio a desiderare.
Ecco, pulizia: una parola che salta subito alla mia attenzione, mentre cammino sul marciapiede scansando passanti: non c’è una carta a terra né crateri nell’asfalto. Come fa una capitale a presentarsi così bene?
Notre-Dame… Le lancio un’occhiata fugace, ma credo mi perdonerà: più tardi tornerò per riprendere la metro. Nel frattempo, mi appare come una signora ferita ma sulla via della guarigione.
Dove si trovava la guglia ora mancante – mi chiedo stupita del fatto che cuore e occhi non trattengano i ricordi con precisione?
Vedo delle parti bruciacchiate e le impalcature a proteggerla dai turisti affamati di Parigi e dei suoi simboli.
Accarezzata dal sole sul lungosenna

Ho fame e mi viene in mente di aver letto, poco tempo addietro, che vicino al Louvre si trova una sorta di centro in cui sono raccolti diversi posti in cui fermarsi a mangiare. Cammino per almeno venti minuti, ma nella direzione contraria. Questo sbaglio mi dà l’occasione di assistere a una festa ebraica su un bateaux muche.
L’energia mi attraversa da capo a piedi, mentre osservo questo compleanno atipico svolgersi sulle rive della Senna, al suono di una musica ammaliante, ovviamente israeliana. Se non avessi notato alcune kippah, avrei pensato si trattasse di musica araba.
Scopro un lungosenna diverso da quello che mi ricordavo, più verdeggiante (devo ancora scoprire di aver sbagliato strada). I battelli scivolano numerosi sul fiume e il sole comincia a fare capolino. Sono costretta a togliermi la giacca, tanto è caldo, e ad accorgermi che non sto andando al Louvre.
Non mi scoraggio e torno indietro, aumentando il passo e schivando persone, osservando bancarelle di libri antichi e palazzi.
Arrivo al Pont des Arts, passerella lignea già percorsa in passato. Sicuramente – mi dico – questo è uno dei ponti parigini che preferisco. Romantico, pieno di luce e con le estremità occupate da un lato dall’Institut de France e dall’altro dalla piazza centrale del Palais du Louvre. Un luogo magico, da cui osservare l’Île de la Cité, sorta di Isola Tiberina tenuta meglio.
Attraversato il ponte, entro quasi in punta di piedi nella piazza che ospita il museo più famoso del mondo.
Stream of cosciousness di fronte al Louvre

Non passo indenne sotto l’arco che separa il ponte dal museo. L’aria, la musica, la luce: tutto assume un aspetto diverso, soprattutto nella Cour Carrée, la meravigliosa Corte Quadrata, il cuore del Louvre. Qui mi immergo tra le note di Vivaldi grazie a una bravissima violinista.
I sensi si espandono all’improvviso, i polmoni si allargano, gli occhi si aprono. Perdonate questo stream of consciousness firmato Parigi, ma non ho altro modo di raccontarvi questa città.
La perfezione di questi momenti mi fa sentire viva, ed è soprattutto in viaggio che mi capita. Errando si sta all’erta, perché tutto è nuovo davanti a noi. Tutto è ancora in grado di stupirci, come a casa nostra capita ben poco.
Mi fermo, respiro e riparto. Adesso sono di fronte alla piramide, circondata da molte Instagram-obsessed (le riconosci: hanno tutte vestiti colorati e guardano a terra, lateralmente, con il fidanzato a fotografarle). Ci sono anche i maniaci delle foto trash, quelle dove sembra che tu regga la Torre di Pisa o tenga in mano la Tour Eiffel. Vade retro!
Osservo i padiglioni e mi dirigo in Rue de Rivoli per mangiare. Il Carrousel du Louvre è un centro commerciale che si trova proprio tra il museo e il giardino delle Tuilieres. So che qui si trovano diversi ristoranti e fast food, ma non sono convinta: non voglio mangiare cinese né spagnolo (trovo solo posti “etnici”), così esco nonostante siano già le 15.00.
Ho voglia di croque monsieur (toast grigliato con prosciutto e formaggio), così mi fermo al primo banchetto e porto il bottino su una panchina, dove mi gusto la quintessenza del grasso. Attorno a me, le persone vanno, vengono o si fermano per mangiare. Osservo le bianchissime nuvole passare sull’Arc de Triomphe du Carrousel e mi sento fortunata. Questa è la libertà – mi dico.
Fine della mia erranza senza meta

Purtroppo devo cominciare a tornare indietro, ma me la prendo comoda. Passeggio, faccio stream of consciusness tra me e me, desidero ardentemente un caffè.
Adesso una meta ce l’ho: è di nuovo Notre-Dame, da dove devo riprendere il treno per Le Bourget, dove sono attesa.
Mi viene in mente che l’ultima volta che sono stata a Parigi non ho visitato l’Île Saint-Louis, la più piccola delle isole naturali di Parigi. Una volta arrivata, osservo dei pattinatori fare acrobazie intorno a dei bicchieri di plastica dalle dimensioni ridotte.
Perché trovo più vita qui che a Roma? Dovrei dire diversificazione, forse… Il paragone sorge spontaneo.
Con le gambe ormai fuse, guardo negozietti, mi pento di non aver comprato un profumo francese e bevo persino un macchiato. In un bistrot, dico al cameriere “petit, petit!“, avvicinando pollice e indice, terrorizzata all’idea di bere una specie di cappuccino dopo la croque monsieur.
Erranze, stream of consciousness e serendipity
Questo è il modo di viaggiare che preferisco, fatto di erranze e “serendipità”. Vagare senza meta mi permette di sorprendermi e andare incontro a situazioni inaspettate. Non sono tipa da guide, se non per farmi un’idea generica del posto che andrò a visitare o per leggere aneddoti.
Per il resto, lasciar fare al caso – soprattutto quando si è in solitaria – è per me un balsamo che lenisce ferite e mi ridà equilibrio. L’equilibrio che rende il viaggio una necessità imprescindibile.
P.S.: è possibile comprare i biglietti per il Louvre senza fare la fila. Scoprite come!
5 risposte
Quel vade retro è il motivo che mi ha dato l’imput a seguirti, sarà poco nazionale popolare ma per me che amo tutto ciò che va contro corrente è il massimo. Viaggiare in solitaria è una scelta di vita,io in molti anni non ho mai viaggio da solo, ma gli ultimi due viaggi sono stato da solo, anche se devo dirti che da solo non mi sono mai sentito, e come te li ho affrontati senza un programma di massima ma solo con la voglia di perdermi senza dare spiegazioni. Se lo rifarò? Certo mi piace troppo viaggire per rinunciarci.
Lo so Alfonso, ormai ti ho capito 😉 Anche io amo ciò che va controcorrente, anche se si rischia di inimicarsi un po’ di persone. Ma pazienza. Noi continuiamo a viaggiare e a trarne il meglio. Un caro saluto
Ciao Roberta! Confesso che ho estrema difficoltà a non organizzarmi per tappe in viaggio. Mi sento persa. Non è che programmi ogni cosa, per carità :P, ma ho bisogno di una meta e di alcuni punti di riferimento intorno ai quali vagare. Però se se sono già stata in un posto, mi piace girarlo come fai tu perché scopro tantissime cose nuove, vedo la vita scorrere, ma contemporaneamente mi sento sicura. Le foto sono bellissime e mi hai fatto troppo ridere con l’instagram-obsessed 😀
Ciao Baby! ^_^ Grazie per i complimenti! Eh beh, di Instagram-obsessed è pieno il mondo ormai. Li riconosci subito 😀
Si, girare senza meta è la modalità che preferisco per conoscere una città. Anche perchè odio le cartine sia perchè non capisco mai il verso sia perchè non riesco più a leggere i nomi delle strade 🙂